S. Bianchi: Uomini che partono

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Titel
Uomini che partono. Scorci di storia della Svizzera italiana tra migrazione e vita quotidiana (secoli XVI-XIX)


Autor(en)
Bianchi, Stefania
Erschienen
Bellinzona 2018: Edizioni Casagrande
Anzahl Seiten
206 S.
von
Pietro Montorfani

Il volume di Stefania Bianchi raccoglie i suoi studi più recenti su vicende di migrazione in contesto prealpino ed esce, forse non per caso, al termine della sua trentennale collaborazione con l’Archivio storico di Mendrisio, che l’autrice contribuì a creare nel lontano 1988 e di cui è stata l’anima per tanti anni. La sua è da sempre infatti una ricerca storica aderente, quanto più possibile, alla concretezza del dato documentale, tra registri notarili e scritture epistolari, censimenti, contratti, passaggi di proprietà, fogli sparsi. Anche per questa ragione, Uomini che partono si inserisce perfettamente nel filone di studi che si è fatto vieppiù decisivo dopo l’uscita nel 2005 di Il fuoco acceso, curato dal compianto Raul Merzario con la collaborazione di Luigi Lorenzetti.

L’autrice raccoglie qui tredici contributi apparsi in varie sedi, ritoccati per l’occasione e distribuiti in quattro sezioni che additano l’ampio spettro della sua sensibilità: da Mete e professioni a Contesti e destini, passando per Donne e migrazione e Identità e quotidianità, quattro dittici dedicati a un unico, multiforme fenomeno (la migrazione e il suo rapporto osmotico con la realtà di partenza) che ha segnato come pochi altri il destino delle terre svizzere di lingua italiana durante il cosiddetto Ancien Régime.

La prima sezione si apre con un affondo demografico che prende le mosse da un censimento luganese del 1798, anno cruciale in cui la necessità di difendere il borgo e le sue valli dalla minacciata annessione alla Repubblica Cisalpina spinse le auto-
rità a un nuovo conteggio delle forze a disposizione. Stefania Bianchi guarda a questo elenco di uomini abili, tra i 17 e i 60 anni, come a un documento ancora tutto settecentesco, testimone di una pratica migratoria che da almeno un secolo si declinava, di paese in paese, secondo filiere professionali specifiche: fumisti in partenza dalla Pieve di Agno, magnani dalla Valcolla, muratori dalla Capriasca, marmisti dalla Valmara. Il «peso dell’assenza» è ogni volta uguale e ogni volta diverso, in linea con i cambiamenti dettati dal mutare degli stili artistici e dal venir meno di grandi committenti (al declino degli stuccatori in epoca neoclassica avrebbe fatto seguito, ad esempio, una rinnovata fortuna di fornaciai e scalpellini, favoriti dal crescente sviluppo urbano). Allo spoglio attento di documenti notarili si devono gli altri tre studi che completano la prima sezione, dedicati ai Cantoni (attivi a Genova), ai Carloni (Torino) e ai numerosi ticinesi che lavorarono nei cantieri liguri di Santa Margherita tra XVII e XVIII secolo.

La seconda sezione è implicitamente indicata, nell’Introduzione, come la vera novità del libro, giusta la sua ambizione di rovesciare un paradigma storiografico, radicato ma non privo di limiti, che vorrebbe in ambito migratorio prealpino una netta «dicotomia tra uomini mobili [...] e donne immobili che aspettano il loro ritorno» (p. 9). Alla formula «uomini che partono» non risponde sempre infatti un «donne che restano», perché si danno casi singolari, eccezionali non soltanto in termini statistici, di donne che decisero di seguire i mariti nelle loro vite all’estero, contribuendo nei fatti alla loro riuscita sociale e professionale. Esempio notevole quello di Annetta Cantoni Fontana (1769-1846), cui è dedicato uno dei capitoli più interessanti del libro. La moglie dell’ingegnere Gaetano Cantoni (1745-1827) è tutto meno che una comparsa, se è vero che i carteggi superstiti ce la tratteggiano, nella Genova del primo Ottocento, come una donna artefice del proprio destino, rispettata da tutti e da tutti stimata, capace di coadiuvare il marito nella gestione delle risorse e delle attività di famiglia.

Al contesto più intimo e quotidiano delle abitudini culinarie e della «memoria del cibo» è dedicato un saggio della terza sezione, che affronta il tema dell’identità in senso lato, tra ricordi dei sapori di casa e abitudini della terra d’arrivo, con esempi commoventi di tentativi di ricostruzione di un gusto perduto assieme all’abbandono del luogo natio. A stereotipi celebri, ma storicamente documentati, come la povertà culinaria dei paesi di cultura anglosassone si sommano gli straordinari viaggi dei salumi ticinesi al seguito degli emigrati, che solo in mete lontane come l’America e l’Australia appresero l’abitudine a cibarsi di carne diversa, soprattutto manzo in luogo del più familiare maiale.

Chiude il libro una sezione dedicata a quattro dinastie di architetti ticinesi (Borromini, Adamini, Guidini e Fontana) che seppero costruire la propria fortuna all’estero, dalla Roma dei papi alla Russia degli zar, rendendo grande di rimando il nome dei loro piccoli paesi d’origine (rispettivamente Bissone, Agra, Barbengo e Brusata di No-
vazzano) con i quali non interruppero mai del tutto i contatti e gli scambi. Stefania Bianchi recupera qui ricostruzioni genealogiche e studi documentari favoriti per lo più da lavori in comune con gli storici dell’arte, segno ancora una volta di quanto siano proficue e necessarie simili collaborazioni per il buon esito delle ricerche in questo particolare ambito storiografico.

Con la sua natura caleidoscopica, frutto di un montaggio a posteriori che integra ma non nasconde la diversa provenienza dei testi e la varietà degli argomenti trattati, Uomini che partono potrebbe apparire a prima vista un titolo secondario nella già vasta produzione della studiosa; non fosse per il sospetto che proprio questo tipo di ricerche minuziose, a tu per tu con i documenti e con la più intima storia familiare, sia prossimo al cuore stesso dell’autrice, persino più delle ampie monografie dai lei dedicate ai Turconi o ai Cantoni (con le quali naturalmente queste pagine dialogano). La centralità del tema e la felicità del titolo, scelto con grande cura, non permettono di considerare il libro una miscellanea in tono minore, impreziosita tra l’altro da un’attenta selezione delle immagini ‒ poche, e però molto significative ‒ tutte stampate a pagina piena. Unica pecca, non tale però da inficiare la bontà dell’intero prodotto, la mancanza di alberi genealogici pur semplificati, di cui a tratti si sente davvero la mancanza. Felice è invece, in gran parte del libro, lo stile dell’esposizione, rigoroso e metodico, e a tratti persino narrativo e comunque piacevole, come nell’incipit del capitolo sui Guidini veneziani, tutto giocato attorno a immagini forti, immediatamente comprensibili: la terra, il lago, la laguna.

Zitierweise:
Montorfani, Pietro: Rezension zu: Bianchi, Stefania: Uomini che partono. Scorci di storia della Svizzera italiana tra migrazione e vita quotidiana (secoli XVI-XIX), Bellinzona 2018. Zuerst erschienen in: Archivio Storico Ticinese, 2019, Vol. 166, pagine 172-173.

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Zuerst veröffentlicht in

Archivio Storico Ticinese, 2019, Vol. 166, pagine 172-173.

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